La mera trascrizione testuale della memoria della controparte, senza aggiunta di elementi valutativi e logici, da parte del Giudice, non assolve all’onere motivazionale imposto dalle norme sopra richiamate e si risolve nella mancanza assoluta dei motivi, sotto l’aspetto materiale e grafico, e nella motivazione meramente apparente, per difetto di indicazione delle ragioni di condivisione da parte del Tribunale (vedasi Cass. Ordinanza 15981/2017).
Sebbene la sentenza, quale atto pubblico – i cui parametri di valutazione sono altri rispetto all’opera letteraria sotto il profilo della originalità della forma espressiva – tolleri il richiamo di atti processuali, mediante trascrizione diretta tra virgolette o con la tecnica del discorso indiretto, è pur vero che per la sentenza si impone la salvaguardia dell’attribuibilità al Giudice dei suoi contenuti, nel senso che gli stessi debbano essere da lui fatti propri, nel momento in cui ritenga di riportarli nel testo, assumendosene la paternità e la relativa responsabilità.
Presupposto di validità di qualunque sentenza è perciò la riferibilità di essa al Giudice che la sottoscrive.
Esemplare sotto il profilo in discorso è la sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, n. 10627/2014, di conferma di sanzione irrogata ad Giudice per le Indagini Preliminari, che aveva motivato due provvedimenti disponenti misura cautelare, riportando in essi la richiesta del Pubblico Ministero; ciò non per la diversità delle valutazioni richieste nel giudizio disciplinare, né per il fatto che nella specie viene in considerazione un provvedimento di natura penale, ma per il fatto che il Giudice non si era neppure curato di fare proprie, in modo da rendere a sé riferibili, le considerazioni espresse nella richiesta del PM, ricopiata nel proprio provvedimento senza virgolettature e senza adattamento.