L’appellante, struttura sanitaria privata, instaurava il giudizio di primo grado impugnando la delibera del direttore generale dell’ASL con cui era stata disposta la risoluzione dei rapporti contrattuali in essere e la sua esclusione da futuri affidamenti di Progetti Terapeutico-Riabilitativi Individuali, a seguito di accertamenti attestanti l’irregolarità degli affidamenti effettuati a favore della medesima struttura.
Il primo grado di giudizio si concludeva con una pronuncia di inammissibilità del ricorso per carenza di giurisdizione del giudice adito, con riconduzione della delibera impugnata nell’alveo del potere risolutivo di un rapporto in essere, in quanto frutto non già dell’esercizio di poteri autoritativi ma di diritti potestativi riconducibili alle situazioni soggettive di carattere privatistico quali si configurano nella fase esecutiva dei rapporti contrattuali.
Il Consiglio di Stato, non condividendo l’impostazione del T.a.r., ha dichiarato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, così accogliendo l’appello proposto dalla struttura sanitaria privata.
Preliminarmente, è stata chiarita la disciplina specifica delle convenzioni con le strutture private, le quali erogano servizi socio sanitari non sulla base di affidamenti disposti all’esito di procedure a evidenza pubblica, bensì in regime di autorizzazione e accreditamento, sulla scorta della disciplina della legge quadro n. 328/2000 e della specifica legislazione regionale.
Si tratta, invero, di un sistema in cui il rapporto contrattuale sorge a valle di un procedimento di autorizzazione e accreditamento, rispetto ai quali l’Amministrazione esercita le proprie funzioni di vigilanza e di controllo nei confronti del gestore. Di conseguenza, la vicenda contrattuale per cui è causa si colloca non già nell’ambito dei contratti pubblici ma in quello delle concessioni di servizi pubblici, per il quale opera la giurisdizione esclusiva del g.a., ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lettera c), c.p.a.
Il Collegio ribadisce, così, i caratteri distintivi della concessione rispetto all’appalto pubblico.
Invero, il proprium della concessione è quello di essere uno strumento attraverso il quale vengono svolte da un privato funzioni di interesse pubblico direttamente nei confronti dei cittadini.
Il rapporto tra Amministrazione concedente, privato concessionario e utenti viene quindi permeato in una dimensione triangolare, dai forti caratteri pubblicistici, i quali non si esauriscono, come avviene nel caso dell’appalto, nella fase di selezione del contraente, ma permangono anche con riferimento al periodo di esecuzione, ove si tratta di assicurare la corretta erogazione o fruizione delle prestazioni secondo i canoni del servizio universale, ovvero in una logica volta a garantire eguaglianza, imparzialità, continuità, diritto di scelta e partecipazione.
Le funzioni di “vigilanza e controllo nei confronti del gestore”, sulle quali l’art. 133 estende la giurisdizione esclusiva, si esplicano proprio nella fase esecutiva del rapporto di concessione, poiché è in questo momento che la pubblica amministrazione concedente svolge la sua attività autoritativa in funzione di regolazione del rapporto concessorio per tutta la sua durata, al fine di verificare costantemente la rispondenza dell’attività svolta dal concessionario ai canoni del servizio pubblico.
Ed è proprio nella fase esecutiva del rapporto concessorio che si coglie, poi, quella commistione indissolubile tra posizioni giuridiche – di diritto soggettivo in capo al concessionario esecutore della prestazione ed esercizio di potere autoritativo in funzione di regolazione da parte dell’Amministrazione concedente – che rappresenta la ragione stessa della devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle questioni che sorgono in tale ambito.
Del resto, nella fase esecutiva il ruolo della pubblica amministrazione si atteggia diversamente: in un caso, quale soggetto appaltante, alla stregua delle regole privatistiche; nell’altro caso, quale soggetto concedente una pubblica funzione rivolta direttamente ai cittadini, alla stregua delle regole pubblicistiche di vigilanza autoritativa.
Tutto ciò premesso, il Consiglio di Stato non ritiene plausibile quanto sostenuto dal giudice di prime cure, ovvero la collocazione della determina dirigenziale impugnata all’interno di parametri o schemi civilistici, ritenendo, invece, la stessa sussumibile nello schema dell’esercizio di funzione regolatorie e di vigilanza, poiché le tematiche della affidabilità del contraente coinvolgono direttamente l’interesse pubblico sotteso al rilascio della concessione, costituendo il presupposto della continuità dell’erogazione del servizio e della qualità con la quale il medesimo viene espletato.
Tale interpretazione si pone in continuità con le coordinate ermeneutiche dettate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004, sicché ricorre la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per quella “particolare” materia nella quale la tutela contro la pubblica amministrazione investe “anche” diritti soggettivi, ovvero quelli del concessionario sorti a seguito della stipulazione del contratto di concessione, laddove rileva altresì il potere autoritativo di regolazione della pubblica amministrazione, tenuto conto che tale potere non si limita alla selezione del concessionario, bensì si estende al momento esecutivo per le prerogative di controllo spettanti in detta fase all’Amministrazione concedente